Il bookzine ideato e promosso da Foscarini arriva all’uscita numero 15 e festeggia 10 anni di attività. Ne abbiamo parlato con il direttore Beppe Finessi.
“Inventario non è una rivista, Inventario non è un libro. Inventario è un nuovo progetto editoriale che getta uno sguardo illuminato e libero sulla scena del design.”
È quanto si legge nel manifesto del progetto editoriale a metà strada tra un libro e un magazine, promosso da Foscarini con l’editore Corraini, che quest’anno spegne dieci candeline. Numero dopo numero, grazie anche al lavoro grafico di Artemio Croatto, Inventario si è posizionato nel panorama editoriale prestando attenzione alla qualità contenuti, alla vocazione innovativa e alla libertà nella ricerca, nei temi e negli approfondimenti proponendo spunti e ispirazioni per i lettori.
“Inventario è uno specchio del nostro modo di pensare e di fare impresa: raccogliere stimoli dai settori più diversi e metterli in relazione, con occhi attenti e curiosi verso ciò che ci circonda, scambiare conoscenze e combinare esperienze con l’obiettivo di portare originalità,” racconta Carlo Urbinati, presidente di Foscarini. “Inventario è un progetto totalmente indipendente da Foscarini dal punto di vista editoriale, perché l’abbiamo voluto così: completamente libero nel fare le proprie scelte, come siamo noi che non abbiamo mai voluto avere una produzione interna o legami di esclusiva con i designer, per avere ogni volta la possibilità di esplorare tutte le strade e scegliere quelle più corrette alla realizzazione di un’idea”.
La capacità del progetto di raccontare argomenti culturalmente elevati con leggerezza è solo una delle caratteristiche che lo ha portato a ricevere importanti riconoscimenti, tra cui il più prestigioso premio di design: Il Compasso d’oro ADI.
In occasione di questo speciale anniversario abbiamo fatto qualche domanda al Direttore Beppe Finessi, per raccontare attraverso le sue parole il progetto.
Come si è evoluto in questi 10 anni di attività Inventario?
Da quando abbiamo iniziato a pensare a un progetto editoriale, al momento in cui l’abbiamo realizzato, è passato almeno un anno, e già in quel primo anno di preparazione - anche se le idee vengono da lontano, e quindi dovrebbero essere sedimentate - abbiamo provato e riprovato i contenuti immaginati con diverse impostazioni grafiche, facendo molte prove.
Io venivo da un’esperienza di diversi anni di stretta collaborazione con Italo Lupi ad Abitare, lavoro proseguito con libri e mostre fatte insieme, e grazie al lavoro con Lupi ho imparato ad amare e a dare un grande valore alla parte grafica di un contenuto editoriale, aspetto che è diventato anche per me ormai imprescindibile, al punto che non riesco neanche più a scrivere un testo se non ho in mente il “contesto” (leggi la pagina) in cui quello scritto verrà impaginato!
Come nelle altre discipline progettuali (e anche fare una rivista è un progetto!), anche in editoria sono necessari “modelli” e “prototipi”; per questo si usa fare un “numero 0”, per arrivare a mettere a punto il proprio “format”. E noi il nostro format l’abbiamo perfezionato ancora nel corso degli anni, perché mentre cambiava il mondo e con lui cambiava anche l’editoria, noi abbiamo calibrato - speriamo in meglio - alcune formule, alcune rubriche, alcuni contenuti, anche se la sostanza di Inventario è rimasta la stessa. Forse la cosa che abbiamo capito, strada facendo, è che sarebbe stato ancora più significativo (e forse doveroso da parte nostra) dare un po’ più di spazio alle ricerche e ai contenuti che di volta in volta conduciamo e ordiniamo, e così nel tempo alcuni articoli hanno forse trovato ancora maggiore spazio, perché sono talmente significative (almeno per noi) le cose di cui abbiamo la fortuna di occuparci, che crediamo meritino ancora maggiore spazio.
La nostra ricetta è ancora quella di pubblicare “inventari” originali, ma nel tempo abbiamo capito che è giusto farlo… sempre dando loro ancora maggiore attenzione! Nel tempo un’altra cosa che è apparsa sempre più chiara a tutti, credo, e quindi anche a noi di Inventario, è che un certo tipo di notizie, informazioni, commenti, trovano ormai la collocazione più corretta, e ideale, sul web, mentre sulla carta stampata - e noi abbiamo scelto quella formula, irrobustita dal fatto che Inventario è un progetto che ha scelto di stare tra il libro e la rivista - devono arrivare contenuti più sedimentati, strutturati, e in qualche modo “definitivi”.
Chi sono e come vengono scelti gli autori coinvolti?
Sin dall’inizio Inventario ospita ed è sostenuta dai pensieri e dalle parole di un gruppo di autori che sento particolarmente vicini, per affinità, sguardi, percorsi, interessi. Autori che scrivono molto bene (la qualità della scrittura, il suo ritmo, la sua incisività, sono caratteristiche per noi imprescindibili, anche quando in alcune rubriche i commenti sono volutamente brevi), e che sono disponibili a dedicare il giusto tempo alla riflessione teorica, e hanno il piacere di collaborare a un progetto editoriale così “particolare”.
In fondo è una squadra di “amici”, e con molti di loro il sodalizio viene da lontano, in qualche caso dai tempi dell’università: con Michele Calzavara e Paolo Bocchi abbiamo studiato insieme alla Facoltà di Architettura, sotto la guida di un maestro speciale, Corrado Levi, che a sua volta si è lasciato spesso coinvolgere nel suggellare con il suo sguardo acuto e i suoi testi poetici alcune opere particolarmente significative che volevamo documentare. Altri sono “fratelli maggiori” che da sempre ammiro e che mi onorano della loro amicizia e complicità, come Marco Belpoliti, Francesco M. Cataluccio, Manolo De Giorgi, Anna Foppiano, Marco Romanelli, Stefano Salis, Roberta Valtorta, Mirko Zardini. Alcuni sono stati miei allievi e poi nel tempo collaboratori e oggi colleghi, come Matteo Pirola, Francesco Garutti, Mariana Siracusa, Deborah Duva, e in anni più recenti Annalisa Ubaldi, Arianna Panarella, Chiara Fauda, Marta Cecchi e Stefania di Maria. Altri sono protagonisti di questi anni, persone curiose e competenti, oltre che professionisti ormai imbattibili come Giulio Iacchetti, che per Inventario cura una rubrica cucita “su misura” sulle sue passioni da progettista/collezionista/conoscitore/innamorato degli oggetti. O Daniele Greppi, amico fraterno da 40 anni, che scrive “commenti tecnici” su oggetti che “smontiamo” per comprenderli meglio, avendo una competenza specifica che gli deriva dall’essere da tre decenni il responsabile di un eccellente Centro Ricerca sul furniture design.
Sin da subito questa squadra si è ampliata, invitando altri autori competenti e originali, come Giacinto Di Pietrantonio, Marco Meneguzzo, Alessandro Rabottini o Damiano Gullì a scrivere d’arte, o come Cristina Miglio, Francesca Picchi o Marco Rainò per commentare il design.
Ma la cosa a cui tengo di più è quella di aver aperto da subito Inventario nell’accogliere i primi cimenti critici di giovanissimi autori, spesso nostri studenti bravissimi, che avevano immaginato delle ricerche originali - per le loro tesi di laurea - che era giusto e doveroso sostenere e promuovere: così abbiamo pubblicato articoli sulla “polvere”, sulla “fragilità”, sul “No” (inteso come negazione), sul “vento”, sulla “pioggia”, sugli “elefanti” e altri ancora, argomenti molto differenti tra loro, riletti sempre e programmaticamente in modo trasversale, tra architettura e arte, design e grafica, fotografia e moda.
Quale è il metodo di lavoro adottato da Inventario? In che modo vengono concepiti contenuti che popolano il progetto?
Inventario è strutturato su precise rubriche, che hanno un nome e una formula grafica definite, e che possono ospitare e sostenere “solo” alcuni tipi di contenuti, e non altri. E la ricerca e l’organizzazione dei temi per queste rubriche (“Accoppiamenti Giudiziosi”, “Miti d’oggi”, “Manuale dell’architetto”, “Bagattelle”, “Assoluti”, “Esercizi di stile”, “Normali Meraviglie”, “Autori trasversali”, “Perché”, “Brevi note”, “Nuovi Maestri”, ecc) è già molto strutturata, e in gran parte definita da tempo (fin dal primo numero abbiamo un elenco esteso, quasi infinito!, di curiosità e contenuti, e per ora abbiamo pubblicato “solo” un decimo delle cose che volevamo…. La nostra ricetta è molto semplice: pubblichiamo solo quello che vorremmo vedere ben descritto e commentato, ma che… non troviamo altrove!
Certo, tutto questo deriva dalla libertà assoluta che ci è data dall’avere come fondatore, promotore e sostenitore Foscarini, una realtà evidentemente speciale, che con Inventario si è ritagliata il ruolo del mecenate/filantropo, senza mai interferire nelle scelte dei contenuti, anzi, sempre apprezzandoli e amandoli come noi.
Abbiamo anche la fortuna di avere il pieno supporto e la complice e totale collaborazione di un editore “puro” come Corraini, abituato a pubblicare solo libri di qualità, che abbiamo conosciuto grazie a Bruno Munari.
Tornando ai contenuti: nonostante i tanti elenchi di cose amate e non ancora pubblicate, rimane sempre il piacere di una ricerca “nuova” da pubblicare, di un artista appena conosciuto, di un lavoro di un grande maestro oggetto di un “nuovo” amore e completamente da riscoprire, o di uno spunto particolare che riflette questo momento storico, anche se l’inseguimento di un contenuto solamente “attuale” non è mai il primo obbiettivo di Inventario. In qualche caso abbiamo pubblicato proposte che venivano dall’esterno, mentre abbiamo continuamente il piacere di riconoscere, ma con i “nostri occhi”, opere e progetti che “incontriamo” e che pensiamo di poter rileggere in una prospettiva per noi originale, che è quella degli “inventari”, formula in fondo immaginata e dedicata ai giovani e agli studenti: perché fare un “inventario” è il miglior modo per dimostrare che non esiste solo un modo di fare bene una cosa, un progetto, un’opera, ma ne esistono tanti e tutti egualmente validi, sempre se fatti bene: e questo per noi è importante, è - siamo convinti - un fatto “politico”, perché dimostra a tutti, ma soprattutto ai giovani - che sono il futuro! – che ogni modo può essere giusto, se “fatto bene” e al meglio. E così ogni sensibilità può trovare il suo spazio, il suo mondo, la sua esatta collocazione.
Quali sono gli obiettivi e le sfide che vi ponete per i prossimi anni?
Continuare in questo percorso, continuando a fare bene il nostro lavoro, facendo ricerche originali e pubblicando al meglio l’opera degli autori che amiamo. Una delle nostre maggiori soddisfazioni è quella di vedere ripubblicati per intero alcuni nostri articoli sulle monografie di riferimento dei protagonisti di oggi, grazie al lavoro prezioso che hanno fatto su Inventario Marco Romanelli e Michele Calzavara, ad esempio.
Come Inventario abbiamo negli anni progettato e curato anche alcune mostre, tutte realizzate al Museo Poldi Pezzoli di Milano, dove - in grande complicità intellettuale con la direttrice Annalisa Zanni – abbiamo portato il design e l’arte contemporanea a dialogare con gli ospiti eccezionali di quella “casa museo”, come le opere di Mantegna e del Pollaiolo. Mostre dedicate alle “arti applicate” rilette in chiave contemporanea, tra arte e design: una mostra sui vasi da fiori (“Di vaso in fiore”), una sulle candele (“Fare Lume”), una sugli oggetti dedicati ai libri (“Intorno al libro”), una sugli oggetti tessili (“La casa morbida”), una sulle mappe e i mappamondi (“Geografie”), una sui cassetti e le cassettiere (Quasi segreti”).
E così, sicuramente, uno dei pensieri per il futuro è quello di riprendere quel percorso, immaginando ancora mostre dedicate a mondi e tipologie contemporaneamente “storiche” ma evidentemente attuali. E di fare nei prossimi anni una mostra che idealmente raccolga - in una sorta di “inventario” ma non più sulla pagina stampata ma nello spazio - in una wunderkammer contemporanea tante opere differenti e meravigliose.
Nel corso della vostra attività avete riscontrato cambiamenti nel panorama editoriale? Qualche consiglio per chi vorrebbe affrontare un progetto editoriale oggi?
In questi 10 anni molte cose sono cambiate: alcune riviste storiche sono scomparse, e quasi tutte hanno dovuto ridimensionarsi. Altre invece sono nate mostrando dei caratteri originali, ma spesso nel tempo hanno perso la loro spinta creativa e vitale, e si sono spente. Altre certamente ne nasceranno: lo spazio ci sarà sempre, ma tutte dovranno sempre di più trovare una propria specifica identità, un modo unico e riconoscibile di dire e fare le cose. Non credo in un’editoria di settore che non faccia ricerca, tanto più oggi, o che viva di comunicati stampa.
Ma contemporaneamente credo anche che un certo tipo di periodico, un mensile di architettura e design, ad esempio, non debba smettere di fare “informazione”, raccogliendo il meglio di quello che succede nel mondo, selezionandolo e pubblicandolo al meglio, perché quello è il suo scopo e il suo mandato.
Il mondo della carta stampata è - come altri - certamente in crisi, ma l’editoria di settore, tra arte, architettura e design a livello internazionale è molto viva, e continua a pubblicare molti libri: quando ho iniziato a studiare architettura non esisteva un libro su Carlo Mollino, mentre oggi sono almeno trenta le monografie dedicate al suo lavoro.
Questo vuol dire che lo spazio per un certo tipo di contenuti c’è, e quindi mi pare evidente che ci sia spazio per continuare a pubblicarli, quei “contenuti”, ma bisogna farlo bene, approfondendo quei racconti, per licenziare qualcosa che valga la pena di essere acquistato, letto e conservato.
Sono certo che ci sia lo spazio per altri progetti editoriali, purché originali e di qualità: ognuno deve trattare i “suoi” argomenti, e deve farlo bene.
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