Una chiacchierata con la curatrice e giornalista britannica Alice Rawsthorn, che ad aprile 2020 ha lanciato il profilo Instagram che indaga il ruolo del design per costruire un futuro migliore.
A marzo di un anno fa, durante i primi giorni di lockdown, le nostre vite prendevano una piega diversa. Ci siamo interrogati su come e quanto la pandemia avrebbe influito sulla società e abbiamo provato a immaginare un futuro post-COVID 19. Il mondo del design ha contribuito proponendo riflessioni sul futuro dell’abitare, ma anche soluzioni concrete per il domani. Ed è proprio di soluzioni, idee e opportunità che si è occupato il profilo Instagram Design Emergency, cercando di tracciare e analizzare possibili scenari futuri attraverso il contributo di nomi di primo punto del mondo dell’architettura e del design. Il progetto è stato presentato ad aprile 2020 da Alice Rawsthorn, critica del design e giornalista britannica, insieme a Paola Antonelli, senior curator del Dipartimento di Architettura e Design e Direttore della Ricerca e Sviluppo al MoMa di New York. A (quasi) un anno di distanza dalla nascita, ne abbiamo parlato con Alice Rawsthorn.
Nel corso dell’ultimo anno le nostre vite si sono profondamente trasformate. Secondo lei in che modo il design può diventare attivamente veicolo di cambiamento?
Nel corso della storia Il design ha assolto diverse funzioni, ma il suo ruolo fondamentale è quello di agente di cambiamento. Garantisce che ogni tipo di trasformazione - sociale, politica, culturale, ecologica, scientifica - sia interpretata in modo da influenzarci positivamente. È necessario che il design ricopra questo compito in qualunque epoca, ma mai come in un'emergenza globale urgente come questa pandemia. Durante la crisi del COVID-19 il design è stato una rara fonte di ottimismo, ci ha permesso di affrontare le sfide per migliorare il trattamento, arginare la diffusione dell'infezione e aiutarci a sostenere individui e comunità vulnerabili con tanta generosità e ingegnosità. Ora abbiamo bisogno del design perché le nostre vite cambino in meglio nel processo di ricostruzione post-pandemia.
Negli ultimi mesi si è parlato molto del ruolo delle città, di come vengono vissute dagli individui e dal loro benessere. Si è parlato molto anche di svuotamento delle metropoli, in favore delle aree meno densamente popolate e di conseguenza con minor rischio di contagio. Qual è la sua opinione a riguardo?
Le pressioni causate dalla pandemia e i cambiamenti a lungo termine che di fatto quest’ultima ha accelerato, come il lavoro da remoto e le videochiamate, ci spingono a riconsiderare dove e come vogliamo vivere. Molte persone hanno già scelto di trasferirsi dalle metropoli costose e congestionate in piccole città, villaggi o in campagna. Altri hanno scelto di restare in città, ma con un punto di vista inedito: è la rinascita della vita di quartiere a discapito di quella del centro. Il risultato è il modello che l'urbanista francese Carlo Moreno chiama "quartieri dei 15 minuti", in cui tutte le necessità quotidiane sono raggiungibili in 15 minuti a piedi o in bicicletta da casa.
Sul lungo periodo, secondo lei, quali saranno le nuove sfide con cui architetti e designer dovranno confrontarsi nell'era post-Covid?
Viviamo un momento intensamente turbolento in cui ci troviamo faccia a faccia con sfide scoraggianti su tanti fronti. Eravamo già consapevoli della nostra inadeguatezza, ma i problemi che abbiamo affrontato nel pre-Covid, come la crescente emergenza climatica, la crisi dei rifugiati, l'aumento della disuguaglianza, dell'intolleranza e dell'ingiustizia, gli attacchi terroristici e informatici sempre più terrificanti, e l'escalation della tecnofobia, sono oggi aggravati dalla carneficina economica e dall'instabilità geopolitica causata dalla crisi pandemica. E anche dalla tragedia umana, non solo in termini di vite, ma del profondo danno causato alla salute mentale e fisica dei sopravvissuti. Il design non è una panacea per nessuno di questi problemi ma è un potente strumento con cui possiamo cercare di risolverli.
In questo delicato scenario, lo scorso aprile nasceva Design Emergency, un contenitore che ha dato spazio a più voci, scaturendo un interessante dibattito sui temi di attualità in relazione al mondo del progetto. Quali sono a quasi un anno di distanza le vostre impressioni?
Paola e io siamo entusiaste della fantastica reazione che Design Emergency ha suscitato. Abbiamo lanciato la piattaforma la scorsa primavera per esplorare le risposte del design al COVID-19 e a partire dall'estate ci siamo concentrate sul suo ruolo nella costruzione di un futuro migliore. In prima battuta ci siamo rese conto di una cosa: la prontezza dei progettisti nel proporre soluzioni rappresenta la cartina di tornasole di quanto il design possa essere uno strumento prezioso e di come possa trasformare la sua percezione nella sfera pubblica e politica, dimostrandone l’importanza nella ricostruzione delle nostre vite post-pandemia. A livello personale posso dire che è stato incoraggiante e stimolante avere la possibilità di confrontarci con tutti gli incredibili designer, architetti e ingegneri che stanno lottando con coraggio, integrità e dedizione.
L’account di Design Emergency è seguitissimo: are you planning to publish a book on Design Emergency?
Certamente, sarebbe un bel traguardo.
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